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Della Casa Bianca vi abbiamo già raccontato nel corso della newsletter di giugno… ma ancora dovevamo svelarvi la storia della famiglia Casabianca.
Le notizie che abbiamo potuto racimolare sui Casabianca partono da un Giovanni Battista, nato intorno al 1755-60 a Sestri Levante da Domenico e Giacomina Bernabò, che si trasferì in Sardegna, a Tempio, per la precisione, capoluogo della Gallura, dove nel 1783 sposò Simona Angela Gabriel, figlia del notaio tempiese Giuseppe Gabriel Garruccio.
L’ottimo Baciccia, con i suoi traffici mercantili tra Sardegna e Liguria, riuscì nel giro di un ventennio a costituirsi un solido patrimonio immobiliare, valutato ai primi dell’800 in oltre 133.000 genovesi, come attesta un atto notarile con cui si obbligava a corrispondere un vitalizio a suo fratello Antonio, Prelato Domestico di Sua Santità e Protonotario Apostolico, residente presso la Curia Romana. Egli operava in società con un cugino primo, Lorenzo Casabianca, anche lui nativo di Sestri Levante, che ugualmente scelse di prendere residenza a Tempio, dove tuttora vivono esponenti della famiglia, consapevoli della loro antica origine sestrese.
Di Lorenzo le patrie lettere registrano un libretto a stampa (Parole dette dal canonico Lorenzo Casabianca nell’ultima tornata del Consiglio provinciale di Tempio, Sassari, Tip. Azara, 1858. – 8 p., 27 cm) che non abbiamo letto e non leggeremo; ma il personaggio interessante è il cugino Antonio Maria, nato a Genova il 7 novembre 1775, morto a Sestri, nella Casa Bianca appunto, il 4 maggio 1848, vescovo emerito di Galtelli-Nuoro (Galtelly Nori).
E lui, al contrario del fratello e del cugino, in Sardegna non ci voleva proprio stare.
Antonio Maria Casabianca, vescovo riluttante
Non fu per niente contento, Antonio Maria, quando gli dissero che era stato selezionato come vescovo per la remota diocesi di Galtelli-Nuoro (Galtelly Nori) e fece il possibile per bloccare la pratica, ma non ebbe successo. Il 29 marzo 1819 fu confermato e il 13 aprile irrimediabilmente ordinato. «Vescovo va bene, benissimo, ma Nuoro proprio no» pensò, e cercò in tutti i modi di far annullare quella destinazione (pur mantenendo, s’intende, le rendite della Mensa vescovile). L’annullamento non giunse e il prelato fu costretto a prendere possesso dell’incarico nuorese. Lo fece con tutta calma, ostentatamente controvoglia, giungendo a Nuoro solo nel gennaio del 1821.
Ma non riusciva ad adattarsi, non ci provò nemmeno. Infastidito da una lingua che non capiva, dal clima rigido e dal difficile carattere dei nuoresi, trovò ogni possibile pretesto per non risiedere a Nuoro e, nonostante i vari e pressanti inviti e ultimatum da parte del Governo sabaudo e della Santa Sede, si fece vedere ben di rado nel palazzo vescovile.
La sua vicenda è sintetizzata in un manoscritto di otto pagine, redatto dal Governo piemontese, dal titolo: Rapporto sopra la condotta di mons. Casabianca vescovo di Nuoro conservato presso l’Archivio reale di Torino. Ne riportiamo ampi stralci:
Il sacerdote Antonio Maria Casabianca era impiegato nell’Ufficio del Buongoverno in Roma, allorché nel 1819 venne da Sua Maestà re Vittorio Emanuele I, di felice memoria, nominato vescovo di Galtellì- Nuoro in Sardegna. Appena consacrato, si trasferì a Genova e quivi a Torino, dove benché continuamente stimolato a recarsi in Sardegna, dimorò più di un anno stancando la pazienza del Governo […]. In pubblico il vescovo Casabianca parlava con infinita acrimonia e senza nessun rispetto del Capitolo, che per anco non conosceva, e della Diocesi di cui gli era stata commessa la cura. Nelle frequenti sue conferenze con il Ministro restringevasi a proporre come difficoltà principale la mancanza di Seminario […]. Non vi fu motivo di piegarlo, anzi una volta chiese formalmente: o il pronto stabilimento del Seminario o le sue dimissioni; con la speranza di ottenere la risoluta risposta, la traslazione desiderata […].
Dopo che ebbe ottenuto dal Governo altre somme di denaro per soddisfare i suoi creditori, partì alla volta dell’Isola e dopo un soggiorno di qualche mese a Cagliari entrò finalmente in possesso della sede di Nuoro. L’amarezza con cui egli aveva parlato pubblicamente del suo Capitolo e dei suoi diocesani aveva da lui alienati tutti gli animi, ed il suo carattere personale era fatto per accrescere tale alienazione anziché diminuirla […].
Monsignor Casabianca dimostrò allora di non aver né la prudenza né la capacità di governare una Diocesi; gli affari tutti pigliarono un cattivo indirizzo ed il Governo acquistò la spiacevole certezza che la presenza di un tal Pastore era a quei popoli non solo inutile ma perniciosa […].
La cosa andò avanti per anni: il Casabianca, invitato a dare le dimissioni, rifiutava decisamente (questo avrebbe significato rinunziare ai benefici spettanti alla Mensa vescovile) pretendendo una sede di suo gradimento. L’imbarazzante stallo provocò l’intervento del Re presso la Santa Sede tramite il Cardinale Marozzo per far parola con Sua Santità della cosa rispetto a monsignor Casabianca e alla inevitabile necessità di una rinuncia, unico mezzo per cui si possa salvare il decoro della dignità vescovile e mantenere la ferma e salutare risoluzione del Governo.
A seguito delle pressioni di Carlo Felice intervenne infine papa Leone XII, che con breve pontificio del 29 gennaio del 1828 comunicò che: il vescovo Antonio Maria Casabianca veniva privato di ogni giurisdizione nello spirituale e nel temporale della guida della diocesi di Galtellì – Nuoro.
E così l’ineffabile, ostinatissimo vescovo, alla fine la spuntò, seppure non troppo onorevolmente e se ne venne a Sestri dove per circa 20 anni ebbe la giurisdizione sulla chiesa dell’Annunziata.