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A Genova, si sa, c’è via degli Orefici e in molte città europee vi sono vie e quartieri ove si concentrano artigiani e mercanti specializzati nella lavorazione e nel commercio del metallo prezioso. Fu così anche a Sestri? C’è da dubitarne. Eppure…
Se chiedete a un sestrese dov’è via Garibaldi, è facile che otteniate in risposta un balbettio imbarazzato; può darsi che vada meglio (ma la persona interpellata deve avere almeno cinquant’anni) nominando, in dialetto, Caruggiu de l’ou. In questo caso è possibile che vi si indichi, correttamente, il viottolo che scivola alle spalle della Casa Bianca. Nonostante la solenne intitolazione all’eroe dei due mondi e il promettente richiamo all’oro, il caruggetto è una stradina secondaria e, nonostante un paio di nuovi bar, poco frequentata, sicché non è poi tanto strano che non sia particolarmente conosciuta.
Ma non è sempre stato così. Per molto tempo il Caruggio de l’ou (il nome, però, è relativamente recente) ha avuto la sua importanza. Basta guardare una vecchia planimetria per rendersene conto: fino all’inizio del Novecento, viale della Rimembranza non esisteva; Villa Balbi aveva il suo sontuoso, scenografico ingresso da via XXV Aprile (che nel catasto napoleonico è indicata come Grande roue, il che significa che in paese lo si chiamava Granvia), mentre tutte le altre case situate sulla spiaggia di Ponente fino alla piazzetta del Comune avevano l’ingresso principale proprio sul budello che oggi è costituito da via Garibaldi in continuità con Vico Marina di Ponente; così del resto accadeva anche alle abitazioni che, in quella stessa zona, non avevano l’affaccio sulla Grande roue ed erano accessibili solo da vico Marina di Ponente.
Marina di Ponente dev’essere essere stato, un tempo, il nome non solo di questa parte del vicolo, ma dell’intero quartiere (Vicus) raggruppato attorno alla torre di guardia.
Quando, nella seconda metà dell’Ottocento, fu realizzato vico Lombardo, gli uomini che portarono a buon fine quella difficile impresa videro che il nuovo asse viario aveva interrotto la continuità dell’antico viottolo e ritennero opportuno assegnare nomi diversi ai due tronconi: alla parte Nord lasciarono il vecchio nome, l’altra ebbe l’onore d’essere intitolata all’Eroe.
Sì, ma che c’entra l’oro?
Ora ci arriviamo.
Vorremmo credere che l’impegnativa ristrutturazione urbanistica di quegli anni fosse guidata dalla volontà di abbellire il paese. Purtroppo non lo pensiamo.
Il fatto è che la storia, la terribile, ingovernabile violenza del progresso, premeva alle porte di Sestri e per entrarvi pretendeva sostanziali migliorie a quelle che oggi chiamiamo infrastrutture: nel giro di una cinquantina d’anni l’assetto della cittadina mutò radicalmente: fu realizzata la strada a mare; venne la ferrovia; si organizzò la coltivazione con criteri industriali delle miniere di rame; si fece il porto; arrivò la grande industria: la fabbrica di tubi (dapprima di rame, poi d’acciaio), la fabbrica dei mattoni, la segheria; il cantiere navale a Riva; l’elettrificazione; venne persino, giacché s’era aperta qualche via di comunicazione, un poco di turismo…
Prima di questa serie di interventi chi, provenendo da Precanti, volesse, poniamo, recarsi a villa Zolezzi (in vico Marina di Ponente), era costretto a un giro prolisso: percorsa l’Aurelia rasente il mare sino al palazzo Giustiniani (oggi Grande Albergo), curvava ad angolo retto per andare a innestarsi in Corso Colombo; quindi scendeva lungo il caruggio fino alla piazza del Comune; a quel punto svoltava in via Garibaldi e la percorreva sino in fondo: un giro magari romantico ma incompatibile con le nuove, prosastiche esigenze: con quelle della Miniera, ad esempio, che aveva bisogno di strade decenti, di un porto e, in attesa dell’imbarco, di un deposito ove stipare il minerale destinato all’estero (Inghilterra).
Ed eccoci giunti alla soluzione del nostro piccolissimo mistero: il deposito del minerale era situato in via Garibaldi; il rame si presentava prevalentemente in forma di luccicante pirite; il popolo sbigottito la scambiò per oro… Oro…. Da qui, da questo avido abbaglio, il nome favoloso di Caruggio de l’ou assunto dalla via.