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La gita alla Valle del Fico è la più classica per chi in poco tempo voglia apprezzare l’incantevole panorama offerto dalle nostre colline. Raggiunta Via Antica Romana Occidentale, si prosegue verso ovest fiancheggiando la ferrovia sino al termine della strada asfaltata. Incontriamo subito un piccolo edificio rosa dove sorgeva dal XVIII secolo la cappella di S. Sebastiano e tralasciamo il sentiero che sale sulla sinistra (cfr itinerario n. 2). Costeggiamo un camping e risaliamo lungo la riva del Rio San Sebastiano. A primavera l’acqua scorre fra i massi creando allegre cascatelle. Il contrasto tra la freschezza del torrente e della sua cintura riparia d’alberi e cespugli con le condizioni più aride e calde dei versanti soprastanti in cui s’alternano rocce e macchia è evidente. Si tratta di un ambiente interessante per la ricchezza di organismi e i contrasti rispetto al contesto. Qui trovano rifugio piante e animali dipendenti più o meno strettamente dall’elemento acquatico e animali che comunque hanno necessità di ristorarsi nelle ore più assolate e calde in zone relativamente fresche e umide. Il rio evidenzia cascatelle alternate a piccole pozze. Le rocce bagnate dagli spruzzi sono tappezzate di muschi e selaginella (Selaginella denticulata), le rive accolgono grossi cespi di felci e carici (Carex pendula) alberi di ontano (Alnus glutinosa) con tronchi coperti di edera, sambuco e carpino nero. Nella parte inferiore del rio vi sono anche canne e qualche pianta esotica. Libellule, rane (Rana agilis), raganelle (Hyla sp.), tritoni (Triturus sp.) e salamandre pezzate (Salamandra salamandra) frequentano le pozze. Tra i rami si nascondono codibugnoli (Aegithalos caudatus), canapini (Hippolais polyglotta) e saettoni.
A quota 35 in prossimità di un’area attrezzata con tavoli e panche, trascuriamo la traccia, ingombra di rovi, che segue il corso d’acqua e saliamo per il tornante verso la linea di costa. Nella macchia dominano cisti, sparzi spinosi, gnidi. Ai lati del sentiero si rinvengono specie endemiche o rare quali l’euforbia a doppia ombrella (Euphorbia biumbellata) e il fiordaliso della riviera di levante (Centaurea paniculata ssp. levantina)
Lungo il percorso incontriamo, uno dopo l’altro, cinque antichi ponti in pietra costruiti dalla Repubblica di Genova nel XVIII secolo, ma noti a molti impropriamente come i ponti romani. Non sappiamo con sicurezza se questa strada fosse la via “Aemilia Scauri” (ora nota col nome di Via Aurelia), ma sicuramente per la stretta Valle del Fico risalivano i tornanti di un antico tracciato. I resti del percorso stradale, con una larghezza di circa 5 metri e una pendenza non troppo accentuata, intagliato nella roccia o lastricato d’arenaria e provvisto di sei ponti (contando anche quello verso Cavi) ci suggeriscono trattarsi di una via importante, percorsa dai carri. Ma quei ponti chiamati “romani”, per le tecniche costruttive, con blocchi irregolari di pietra e privi di solide fondamenta, non risalgono all’antica Roma; sono sì antichi, ma probabilmente della fine del XVIII secolo. Ce lo confermano un documento del Senato della Repubblica di Genova del 1610 e una carta del 1793.
Il sito ha subito purtroppo incendi ricorrenti e gli attacchi del temibile parassita, la cocciniglia del pino marittimo. Il breve periodo intercorso fra gli incendi ha impedito una rapida evoluzione delle comunità vegetali e facilitato processi erosivi, incidendo negativamente anche sulla fauna; all’azzeramento del bosco si è risposto con interventi di restauro del manto vegetale, così che l’area rivolta a Sestri Levante è diventata anche occasione didattica per apprendere cause e danni degli incendi e rimedi possibili.
Gli interventi di restauro ambientale nel sito sono particolarmente difficili, soprattutto per gli intensi processi erosivi che agiscono su suoli scarsamente sviluppati o direttamente sulla roccia nuda. Sono stati pertanto realizzati interventi di ingegneria naturalistica a protezione dei versanti e impianti di sostituzione dei pini marittimi con latifoglie, soprattutto lecci e sughere; in questi casi, per facilitare l’attecchimento, si sono impiegate anche piantine micorrizate, cioè piante nelle cui radici sono stati preventivamente inoculati dei funghi. Questi, attraverso lo sviluppo di una simbiosi (micoriza) con le piantine permettono una più ampia “cattura” e un migliore assorbimento dell’acqua e conseguentemente una crescita maggiore delle giovani latifoglie.
Oltrepassato il ciglio della vecchia cava abbandonata che sovrasta il campeggio, continuiamo a salire in un mosaico di macchia, gariga e rocce di arenaria. Dopo poco, il sentiero n. 2 da S. Sebastiano attraversa il nostro percorso diretto verso i monti Costello e Capenardo; continuiamo diritti. La salita si fa più lieve e si porta sopra il tunnel artificiale dell’Aurelia. Costeggiamo l’orlo superiore della falesia e dopo pochi metri, in piano, siamo alla meta. Qui ci attendono i ruderi di una cappella eretta fra il XIII e il XVI secolo su un luogo di culto sicuramente più antico. L’edificio religioso venne eretto in fasi successive in uno dei punti più panoramici del Tigullio; forse il sito era luogo di culto già agli inizi del cristianesimo e quasi sicuramente già nel V secolo vi era una piccola edicola votiva. Successivamente, ma prima del XIII secolo fu eretta una torre trapezoidale; fra il XIII e il XIV secolo venne costruita l’aula della chiesa e infine, nel XVI secolo, si procedette con un ampliamento. Il primo documento scritto che cita la chiesa è del 1506. In un atto del notaio Vincenzo Molfino, del 10 luglio del 1516, il vicario dell’arcivescovo dichiarava l’avvenuta costruzione della cappella di S. Anna grazie alle somme raccolte da alcune signore delle famiglie Musso, Oxio e Morinello e della quotidiana celebrazione della S. Messa in quel luogo.
Sino al 1728 vennero realizzati lavori di manutenzione e modifiche alla chiesa, tuttavia la decadenza dell’edificio, esposto al vento e alle intemperie, fu abbastanza rapida e nel 1757 i frati lo abbandonarono. Sicuramente la chiesa non fu più officiata dal 1810, anno in cui venne realizzata la strada litoranea napoleonica e nel 1820 l’edificio era già crollato.
Accanto alla storia, però acquistano un particolare fascino le numerose leggende. Secondo una di queste, nel 1300 un cavaliere proveniente dalla Provenza, distratto dallo splendore del panorama nei pressi delle Rocche, non s’avvide di uno scarto del suo cavallo e cadde nel dirupo, ma ebbe salva la vita per avere in quell’istante pregato S. Anna. A ricordo del miracolo, il cavaliere fece erigere la chiesetta.
La leggenda più popolare ci racconta invece di una fanciulla, Anna, primogenita di un conte di Lavagna che galoppava ogni giorno sul suo baio lungo la via romana, sino all’orlo del precipizio delle Rocche. Ella era in preda all’angoscia per il suo amato Ubaldo, lontano da lei, impegnato in guerra: ora guardava il mare e lo immaginava tornare vittorioso ed ora lo immaginava ferito a morte che reclamava un ultimo bacio. A lungo Anna tornava a scrutare il mare sulle Rocche, ma invano; una sera, nello sconforto si abbandonò fra le onde del mare infuriato incontrando la morte. Dopo alcuni anni Ubaldo, torna da eroe vincitore, ma non trova più la sua amata, bensì solo una croce e una fredda pietra. In silenzio una lacrima scende dal suo viso e bagna la lapide su cui sorgerà chiesetta di S. Anna, a ricordare le pene della fanciulla innamorata.
Il panorama a oriente è splendido con vista sulle baie delle Favole e del Silenzio distinte dalla penisola di Sestri Levante e chiuse da Punta Manara; a occidente si allarga sul Golfo del Tigullio e sul promontorio di Portofino. In primo piano si notano l’euforbia arborea (Euphorbia dendroides) col suo aspetto contorto, il fico d’India e un gruppo di lievi pini d’Aleppo.
Di qui possiamo tornare a Sestri scegliendo la variante diretta del n. 2 o possiamo salire al M. Castello oppure scendere in pochi minuti a Cavi di Lavagna rimanendo ancora un poco “sospesi” con i gabbiani sull’alta falesia!