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Fra la chiesetta di San Pietro in Vincoli (1610) e lo spazio, oggi dedicato alla pittrice Dina Bellotti, drammaticamente aperto dalla tremenda esplosione che il primo novembre 1951 mise a nudo le mura della vecchia Torre dei doganieri, si snoda, ed è breve percorso, l’enigmatico vico Macelli.
Macelli? Quanti se ne saranno accalcati nello spazio angusto della Sestri medievale? La risposta più probabile è: nessuno. Nessuno, almeno, nel senso di ‘mattatoio’ che oggi viene spontaneo attribuire alla parola, che sottilmente, ci inganna.
‘Macelli’, infatti, va letto non come plurale del sostantivo italiano ‘macello’, ma come genitivo della parola latina macellum. Siamo dunque nel vico ‘del macello’: un macello solo. Ed è un passo avanti, perché ci offre la soluzione del modesto enigma.
Il termine latino, infatti, ha significato ben diverso da quello di ‘mattatoio’ che ha assunto nell’italiano moderno, perché macellum aveva esclusivamente senso di ‘mercato’, in genere coperto.
Ora, sembra improbabile che nel cerchio delle mura di Sestri o poco fuori esistessero tanti animali da richiedere un luogo deputato alla macellazione pubblica, cioè di massa e in qualche modo ‘industriale’. Anche meno probabile, anzi del tutto assurdo, è ipotizzare che dalle valli vicine i contadini spingessero fin qui le bestie da macellare.
Sappiamo al contrario che sino a non troppo tempo fa era uso comune macellare da sé gli animali. La carne dei quali era destinata, data la difficoltà di conservarla, ad essere consumata rapidamente. Sembra veramente difficile ipotizzare che nella Sestri medievale (e in un’economia nella quale la circolazione della moneta era scarsa e la miseria grande) esistesse una richiesta di carne così grande e così fiorente commercio da richiedere una struttura destinata specificamente alla macellazione.
Il macello era un mercato, presumibilmente coperto, destinato alla vendita di derrate alimentari, specialmente carne e pesce. Tale, ad esempio, era il Macellum liviae augusteo, il grandioso Macellum magnum costruito da Nerone sulle pendici del Celio.
Quanto al termine ‘vico’ dobbiamo ricordare che nel mondo romano non si riferiva a un ‘vicolo angusto’ come nell’italiano moderno, ma a un’area pubblica.
«Il vicus, nell’antica Roma, era un aggregato di case e terreni, sia rurale che urbano, appartenente ad un pagus […].
Ogni vicus aveva una sua denominazione tratta dagli abitanti, dagli eventi che vi si erano svolti o dai mestieri che vi si esercitavano. In uno di essi risiedeva il Magister […]» (Vedi voci ‘vicus’ e ‘pagus’ in Wikipedia e nella Treccani online).
Ma è argomento vasto, al quale non possiamo qui che accennare, ovviamente. Solo per dire, infine, che il vicus macelli cui ci riferiamo doveva essere un (piccolo) quartiere commerciale. Ipotesi che parrebbe confermata, del resto, dalla presenza in esso proprio della Torre dei doganieri.